La richiesta della Procura di Palermo nei confronti dell’imputato Matteo Salvini (sei anni di reclusione per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio) ha scatenato la prevedibile reazione del ministro leghista e dei suoi alleati. È bastato che il procedimento in corso arrivasse a uno dei suoi momenti cruciali, per liberare i peggiori vizi della destra italiana, in una perfetta combinazione tra complottismo, vittimismo e arroganza illiberale, con sullo sfondo il tema preferito (l’immigrazione), quello sul quale si sono costruite, tra crudeltà e fake news, le vittorie elettorali e le ascese al potere. Il caso della nave dell’ong spagnola Open Arms, alla quale, nell’agosto del 2019, dopo aver soccorso in mare 147 persone, per 20 giorni venne negato l’approdo a Lampedusa, pendeva sulla testa di Salvini da tempo. Il leader leghista e la premier Meloni sapevano che, prima o poi, questo momento sarebbe arrivato, così come sapevano entrambi (e con loro anche la legale di Salvini, Giulia Bongiorno) che sarebbe arrivata una richiesta di condanna.
E questo perché non c’è alcuna ragione in quel che l’allora ministro dell’Interno (e oggi delle Infrastrutture) fece nei confronti della Open Arms e delle persone che erano a bordo. La sua era un’azione politica ottusa e disumana, che violava le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare, secondo le quali vi è l’obbligo di salvare i naufraghi e di concedere l’approdo nel porto sicuro più vicino, nella convinzione che la vita umana, anche in mare, vada tutelata sempre. Principio che, peraltro, vale in qualsiasi caso, al di là della legge, come elemento cardine della coscienza umana e, di riflesso, di un Paese che si professa civile. Eppure siamo ancora qui a discutere, a parlare di processi, ad ascoltare le osservazioni degli avvocati, ad osservare la rabbia schiumosa che esce dalla bocca dell’imputato e dei suoi sodali.
Sì, perché se in questa vicenda il solo imputato è l’ex ministro dell’Interno, dato che sul piano penale, la responsabilità è individuale, sul piano complessivo, quello della morale, su questo tema gli imputati sono molti di più. E i nomi e cognomi di molti di loro sono rintracciabile nelle agenzie che riportano le dichiarazioni a sostegno di Salvini. Dichiarazioni indecenti, perché oltre a difendere ciò che è indifendibile, entrano a gamba tesa sulla democrazia, violano lo spazio autonomo della giustizia, ossia di un’altra colonna portante della Repubblica. Le decisioni della magistratura si possono anche commentare giornalisticamente, ma non può e non dovrebbe farlo chi occupa il potere, chi abita ai vertici della nazione. Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi, così come Antonio Tajani, hanno detto cose molto gravi, mentre invece avrebbero dovuto tacere, rispettando la decisione della procuratrice Marzia Sabella e lasciando che il ministro Salvini si difenda nelle aule di tribunale e dimostri, nel caso, la propria estraneità alle accuse.
Altrimenti, che paghi per la sua tracotanza, per quella crudeltà manifesta che in tanti sottolinearono in quella e in altre circostanze. La vicenda della Open Arms è solo una delle tante di quel periodo, non è né più né meno grave di altre, ma forse è tra quelle che ha avuto più evidenza. Parliamo di 147 persone stremate, uomini, donne, minori, tra i quali bambini, gente che è stata trattenuta in mare per giorni, in spregio alle loro condizioni di salute e alla terribile esperienza del viaggio e del naufragio. Non esisteva e mai esisterà una ragione che giustifichi la vergognosa e disumana negazione dell’approdo in un porto sicuro. Che non può e non deve essere quello di un Paese lontano, che richiede altre ore di navigazione, né tantomeno di un Paese canaglia come la Libia, in affari diretti con i trafficanti di esseri umani. Salvini gonfiava il petto, sapendo che il suo atto era illegale e immotivato, e lo faceva per eccitare gli istinti razzisti e xenofobi del suo elettorato (e non solo). D’altra parte, con gli slogan, le fake news, le prove muscolari contro i deboli la destra ha costruito la sua forza elettorale.
Una strategia aggressiva (che in passato anche il PD ha copiato e a tratti perfino ispirato con Marco Minniti), crudele ma efficace, che però, per fortuna, trova un limite, se non nella coscienza ormai sempre più carente in politica e nell’opinione pubblica, quantomeno nella legge e nel diritto internazionale. Legge che, adesso, prova a sposarsi con giustizia, una giustizia sulla quale il governo cerca irresponsabilmente di vomitare le sue pressioni, agitando la teoria del complotto delle sinistre, della magistratura politicizzata, del ministro vittima e bersaglio, un ministro che, a suo dire e a dire dei suoi colleghi Meloni, Piantedosi, Tajani e compagnia varia (inclusi i soliti orridi amplificatori mediatici), ha agito per dovere di ministro, “per difendere i confini”, “per difendere l’Italia e gli italiani”. Difendere da chi? Da disperati, da bambini, donne, uomini sfuggiti finalmente alle grinfie dei trafficanti? Davvero si vuole far passare l’idea che bloccare una nave di soccorso, etichettando i naufraghi come terroristi o clandestini, abbia a che fare con la difesa della patria?
Lo sanno Meloni e Salvini, e soprattutto Piantedosi (che è ministro dell’Interno e all’epoca dei fatti era il braccio destro di Salvini, in veste di capo di Gabinetto del ministro), che nessun naufrago può essere considerato clandestino prima che la sua posizione, una volta sbarcato, venga esaminata? Lo sanno che in una barca o su una nave ong possono esservi anche individui ai quali spettano e vanno riconosciuti i diritti alla protezione e all’asilo e, dunque, non possono essere definiti in alcun modo clandestini? Lo sanno che nessun essere umano, africano, italiano, europeo, americano e così via, può essere accusato di terrorismo senza che vi sia una prova a suo carico che dimostri la sua affiliazione a un’organizzazione eversiva? Ad ogni modo, chiunque si trovi in mare va salvato, poi dopo, una volta a terra, si fanno tutte le verifiche del caso.
Per chi non lo sapesse, si chiama diritto, quello che questo governo, che oggi accusa la magistratura e difende un imputato, evidentemente non conosce o disprezza. Lo disprezza anche quando distorce il principio di legittima difesa, esprimendo e suggerendo vicinanza a una assassina spietata che uccide un ladro, andandolo a cercare e investendolo più volte per recuperare una borsa, dimostrando peraltro di non avere considerazione per la vita umana, posta in ultimo piano rispetto a un bene materiale. Lo disprezza quando chiede punizioni corporali per i criminali (solo se sono stranieri, perché davanti agli italiani o ai mafiosi ci si limita al silenzio o alle congratulazioni per l’arresto…).
Un principio, quello della destra, seguendo il quale dovremmo allora sostenere che Salvini andrebbe arrestato per questo reato, senza alcun processo, oppure per i suoi antichi e presunti rapporti ambigui con la Russia. Così come andrebbero arrestati il figlio di La Russa, Daniela Santanché, Emanuele Pozzolo, e così via. Ma sarebbe un errore pensarla così, perché il diritto è un’altra cosa ed assegna agli organi di giustizia la competenza esclusiva stabilire colpe o assoluzioni, non certo a un ministro, a direttori di giornali o alla capa del governo, i quali piuttosto, da questa prima richiesta della procura di Palermo, così come dalle sentenze che hanno smontato le fandonie e le accuse nei confronti delle ong, farebbero bene a imparare qualcosa. Ad esempio, a smettere di usare l’immigrazione come un tema di guerra e di costruire sulla pelle degli ultimi la propria carriera politica.
Soprattutto, dovrebbero imparare a rispettare i poteri e i confini dello Stato, evitando inoltre di citare la Costituzione a sproposito, come ha fatto Salvini, appellandosi al rispetto dell’articolo 52 sulla difesa della Patria e dimenticando che la patria si difende dai nemici e non da profughi disperati e senza alcuna possibilità di offenderla. Il solo articolo della Costituzione che può essere citato in questa vicenda, è l’articolo 10, che recita così: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. E la legge non prevede certo di negare il salvataggio in mare né l’approdo a chi ha salvato dal naufragio degli esseri umani in fuga, in un Mediterraneo che, mentre si discute di Salvini, continua a mietere migliaia di vittime. A causa anche delle politiche feroci del governo italiano in tema di immigrazione, ong e soccorso in mare.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org